La regola di Taylor è uno strumento, utilizzato sin dal 1993 dalla Federal Reserve, necessario per calcolare le aspettative per l’andamento dei tassi a breve termine prendendo in considerazione i rischi di inflazione e la dinamica del mercato.
Cosa tratteremo
Cenni storici e considerazioni
Questo algoritmo venne creato nel 1993 dall’economista J.B. Taylor, ed è ottenuto dall’analisi delle relazioni tra alcune variabili macroeconomiche e i titoli USA a breve termine.
Studi effettuati sui danni relativi al periodo del dopoguerra fino a dati dei giorni nostri, mettono in evidenza la relazione tra la politica monetaria e alcune variabili macroeconomiche come l’inflazione, il tasso di disoccupazione e la crescita. In modo più preciso si è rilevato che la politica monetaria agisce sulla differenza tra queste variabili e i loro valori obbiettivo di riferimento, ossia quei valori auspicati dalle istituzioni nazionali.
L’estensione dell’utilizzo di questa regola all’economia aperta è consentita attraverso l’assunzione che il tasso di cambio tra due paesi sia in diretta dipendenza del differenziale di interesse nominale.
Notoriamente i monetaristi sostengono la non neutralità della moneta solo nel breve termine, escludendo quella nel lungo e medio lasso di tempo, in questo modo si può calcolare il tasso di crescita, quello di disoccupazione e il tasso di interesse reale.
La corrente di pensiero dei Keynesiani si oppone a questa visione, e l’elemento che differenzia questi due modi di vedere è l’aspettativa; possiamo trovare un punto di incontro tra questi due modi di vedere nella teoria del portafoglio. Esistono quattro schemi che definiscono la formazione delle aspettative, il primo è lo schema keynesiano, il secondo è lo schema delle aspettative estrapolative, lo schema delle aspettative adattive e lo schema di aspettative razionali
Secondo gli schemi di pensiero dei Keynesiani più estremisti il livello che ci si può aspettare dai prezzi futuri è praticamente il medesimo rispetto a quello attuale. In sostanza non esiste la possibilità di formulare delle aspettative sui cambiamenti futuri dei prezzi. Le variazioni, inoltre, non vanno ad incidere sul tasso di interesse, ma unicamente sul tasso reale. Secondo la visione Keynesiana la moneta non è reale, questa va a modificare le variabili e il livello dell’attività economica.
Tuttavia, col passare degli anni questo modo di vedere la situazione è andato affievolendosi introducendo alcuni schemi che descrivono il sistema di formazione delle aspettative che più si adatta ai vari contesti. Nello schema adattiva i prezzi attesi in futuro si basano sui prezzi attesi in precedenza, ai quali vengono applicate delle rettifiche basate sugli errori precedentemente eseguiti. Questo tipo di schema basato sulla comprensione e l’interpretazione dei propri errori, per poi porvi rimedio, è particolarmente appoggiato dalla visione dei monetaristi.
Nello schema di tipologia razionale, invece, le aspettative vengono tendenzialmente distribuite come descritto dal modello teorico sul funzionamento del sistema economico. Secondo questa visione gli errori che si vengono a creare nel tentativo di previsione che vengono calcolati con la differenza tra i livelli di prezzi attesi e quelli che si verificano poi in modo effettivo, sono di natura puramente casuale, e non sono correlati serialmente.
I monetaristi razionalisti pensano che le aspettative dal punto di vista inflazionistico possano essere effettuate in modo efficiente solo a livello nominale del tasso di interesse, mentre il reale valore rimane stabile nel tempo, al contempo la moneta viene considerata neutrale sia nel breve che nel lungo periodo.
La regola nel dettaglio
Attraverso la regola di Taylor è possibile per le banche centrali calcolare la quantità in cui modificare i tassi di riferimento nominali in risposta ad uno shock che causi un cambiamento nei livelli di inflazione e disoccupazione.
Sono le banche stesse a fissare dei target personali per quanto riguarda le variabili macroeconomiche in gioco. Prendiamo l’esempio della BCE che considera solo il tasso di inflazione ponendo un obbiettivo che si aggira attorno al 2%, mentre la FED controlla il tasso di inflazione e il tasso di disoccupazione.
La formula è la seguente
I = i + (1 + α)(πt – πo) + ß(yt – yo)
dove “I” rappresenta il tasso di interesse nominale, πt – πo è la differenza tra inflazione reale e obbiettivo, yt – yo è la differenza tra Pil reale e Pil obbiettivo, α e ß sono i valori assegnati ad ogni scostamento, infine “i” è il tasso di interesse in caso di differenze pari a 0.